Tutti siamo ben consapevoli di come la Pandemia non sia solo una tragedia dall’enorme costo umano ma anche uno tsunami economico che sta travolgendo quasi tutti i settori dell’economia che, azzoppati dai lockdown, non hanno letteralmente spazio di movimento per rendere produttiva la propria professionalità.
Per noi formatori la Pandemia significa la chiusura delle aule e un’enorme limitazione a eventi formativi come teambuilding outdoor e indoor, town hall e convegni di vario genere: l’edificio della formazione organizzativa ha subito un terremoto che ha minato le fondamenta stessa della professione.
Ancora immersi in questa situazione non possiamo che fare come gli architetti di un’unità di crisi della protezione civile ovvero valutare la resilienza della struttura intesa come la capacità intrinseca del sistema di modificare il proprio funzionamento prima, durante e in seguito a un evento traumatico, in modo da poter ritornare a un funzionamento se non ottimale almeno sufficiente.
I miei colleghi ed io ci siamo trovati a fare questa valutazione e, con una certa sorpresa, dopo quasi 12 mesi di lavoro in questo particolare contesto, siamo giunti a questa conclusione: i lockdown sono stati un colpo tremendo per la nostra professione ma il loro effetto non è stato solo quello di costringerci ad adattarci, ci ha anche aiutati a migliorare il nostro modo di lavorare e i nostri prodotti.
Non vorrei che questa affermazione fosse percepita come una banale considerazione consolatoria frutto di un semplicistico ottimismo fuori luogo: la tesi che intendo sostenere è che il lockdown ci ha costretti a esplorare più a fondo le potenzialità della formazione a distanza e di scoprire come questa non sia solo un surrogato dell’aula ma una modalità formativa con una potenzialità difficile da esprimere in percorsi in presenza più tradizionali.
Da venti anni faccio questo mestiere e, come la maggior parte delle mie colleghe e dei miei colleghi, la prima sensazione all’essere costretto a fare formazione attraverso lo schermo del computer è stata una vera e propria forma di claustrofobia. Dopo solo una settimana di lockdown già sentivamo una tremenda nostalgia dell’aula, un luogo magico dove davvero puoi creare connessioni con persone che incontri spesso per la prima volta.
Alla nostalgia si è aggiunto il fastidio di dover imparare “davvero” una serie di nuovi strumenti informatici. Di certo le piattaforme per videocall, le lavagne virtuali, i programmi per survey e brainstorming istantanei non erano una novità e già le utilizzavamo – con moderazione – consapevoli del fatto che fossero interessanti e ricchi di possibilità… e al di fuori della nostra zona di comfort!
Naturalmente non parlo per tutti: molti colleghi si erano da tempo lanciati nel mondo della formazione digitale, alcuni con notevole successo. Sto descrivendo la situazione in cui io mi sono trovato: ero sicuramente una delle vittime del terremoto e, come l’edificio della formazione in presenza, avevo ricevuto un bel colpo ed ero nella condizione di essere costretto a verificare il mio livello di resilienza…
In questi dodici mesi ho dovuto ricominciare da capo, tornare a quel giorno di 22 anni fa quando entrai per la prima volta in aula affiancando il mio mentore, per la prima volta con un ruolo di formatore invece che di discente, e imparare daccapo a gestire un insieme di persone che si trovano – per scelta o per “imposizione” dell’organizzazione – a cercare di imparare qualcosa di nuovo o a migliorare il proprio agire organizzativo.
Ricominciare daccapo, sentirmi in un territorio solo parzialmente esplorato, ha stimolato la mia curiosità, la mia capacità di adattamento e il mio desiderio di migliorare per riportare la mia efficacia a livelli comparabili a quelli che avevo raggiunto nella mia esperienza d’aula in presenza.
In questi dodici mesi i miei colleghi ed io abbiamo raggiunto due importanti risultati:
Vediamoli in dettaglio.
Quando ho cominciato a fare il formatore alla fine degli anni Novanta un corso di Comunicazione Efficace durava 3 giorni; lo stesso corso, venduto nel dicembre 2019, non poteva durare più di 4 ore mettendo in aula lo stesso numero di persone. Questa trasformazione era in parte dovuta alla formazione a distanza: molte organizzazioni avevano sempre più problemi a staccare le persone dall’attività quotidiana per mancanza di tempo e di budget sempre minori per la formazione. Lo strumento digitale aveva permesso delle soluzioni blended in cui parte della formazione (quella più teorica) veniva fatta con un webinar pre-registrato e la parte più “pratica” (esercitazioni e simulazioni) avveniva in una mezza giornata in aula. A conti fatti era una soluzione efficiente ma non efficace: pochi partecipanti completavano la parte online prima della parte in aula con un effetto globale di perdita di tempo per una mezza giornata d’aula poco comprensibile.
A mio parere l’errore stava nel mantenere la formazione “condensata” in un’unica “unità temporale”: alla fine si era ricreata una giornata d’aula più dispersiva e meno efficace. La vera potenziali della formazione non era stata sfruttata adeguatamente.
Da marzo 2020 ci siamo ritrovati a offrire moduli online ma, non avendo lezioni pre-registrate e consapevoli di quanto potesse essere noioso e demotivante ascoltare uno speaker senza interazione, abbiamo messo a punto degli e-workshop di 3-4 ore in cui abbiamo sfruttato tutte le possibili modalità di interazione: non solo lavagne virtuali e word cloud istantanei, anche versioni modificate delle esercitazioni esperienziali. Il risultato finale è stato un evento formativo composto da una parte teorica e una parte pratica in un’unica sessione di 3-4 ore che, non potendo esaurirsi completamente, andava ripetuta per altre 2-3 sessioni a distanza di qualche giorno l’una dall’altra.
Le organizzazioni si sono viste offrire l’equivalente di 2-3 giornate di formazione in aula “spalmate” su un periodo di 3-4 settimane con ritorni di efficacia decisamente superiori a 4-7 ore blended. Noi formatori abbiamo avuto la possibilità di strutturare un piccolo percorso formativo con modalità e risultati comparabili a quelli di 3 giornate d’aula.
In generale, le giornate di formazione in presenza terminavano con un invito a seguire un percorso di autoformazione a partire dai temi trattati, spesso organizzati e sintetizzati in un action plan. Nella stragrande maggioranza dei casi, essendo quella l’unica volta in cui incontravamo quelle persone, restava un invito del tutto disatteso.
La struttura della formazione a distanza così come è stata descritta nel paragrafo precedente fa sì che, in questo momento storico, i “compiti a casa” non siano solo possibili ma addirittura necessari: avendo meno tempo in interazione diretta il formatore può chiedere ai partecipanti di “mettere a terra” le strategie e i comportamenti analizzati in formazione e, scrivendo pochi appunti sulle piattaforme digitali o anche solo in un file di testo, rifletterci sopra. La sessione successiva parte quindi con un veloce ed efficace ripasso dei temi già trattati e con una discussione sulla reale applicabilità delle nozioni apprese.
L’action plan non è più una formalità, un accorgimento “cosmetico” per dare l’illusione di continuità formativa, è ora un vero e proprio strumento di lavoro che prosegue l’azione formativa fuori dall’aula per arrivare nei luoghi di lavoro.
Uno strumento affidabile per valutare l’effetto della formazione appena realizzata è, da diverse parti, considerato il “Sacro Graal” dello sviluppo organizzativo: riuscire a poter quantificare l’effetto di un corso subito dopo la sua conclusione rappresenterebbe una leva commerciale senza precedenti.
In attesa che un cavaliere senza macchia e senza paura scopra un simile artefatto, i professionisti della formazione hanno spesso proposto ai propri clienti l’unica alternativa: un monitoraggio a distanza dei partecipanti a cui far seguire una sessione di follow up in cui discutere quanto osservato e quanto vissuto e discutere eventuali strategie alternative per migliorare la propria efficacia. Inutile dire che solo in rarissimi casi si è potuto realizzare un così complesso – e costoso – dispositivo valutativo.
Anche in questo caso, la strutturazione della formazione in un percorso di diversi e-workshop a distanza di tempo l’uno dall’altro permette e agevola questa una simile valutazione dei risultati: allungando l’intervallo di tempo – e non di molto – tra le prime e l’ultima sessione del percorso e avendo già eseguito lungo la strada varie valutazioni intermedie, un incontro virtuale di valutazione finale diventa facilmente parte integrante del programma. A valle di tale valutazione diventa anche più facile proporre ai clienti nuovi percorsi integrati con quello già portato a termine.
La formazione a distanza non è certo una novità, ma la pandemia l’ha trasformata nel mezzo preferenziale: chi non era già in questo campo si è trovato buttato in un oceano in tempesta, trascinato da onde capaci di frantumare il fragile vascello di un neofita della formazione a distanza.
Pur non essendo finita l’emergenza sanitaria ed essendo ancora lontani dal poter affermare di dominare con agilità tutti gli strumenti di questa modalità di interazione formativa, possiamo sicuramente dire di aver retto il colpo o, come va di moda dire oggi, di aver dimostrato di essere resilienti: non solo abbiamo “convertito” parte della nostra offerta formativa in questa modalità ma abbiamo anche scoperto come sfruttarne possibilità che, in presenza, o non erano possibili o difficilmente realizzabili.
Lungi dal voler affermare che l’aula in presenza sia ormai superata – la forza della relazione diretta è ancora più “tangibile” nella sua assenza – siamo però adesso convinti che una modalità esista una modalità blended diverse da quelle finora conosciute, modalità che alterna momenti di formazione a distanza (sincrona e asincrona) a momenti d’aula in presenza uniti in un percorso coerente e protratto nel tempo, un dispositivo per lo sviluppo organizzativo più efficace ed efficiente di quelli previsti prima dei lockdown.
E ci è voluta solo una pandemia per dimostracelo nei fatti!